Gastralgie: rimedi di emergenza e impostazioni nutrizionali a seconda del tipo di gastrite

Relazione IX Convegno di Bioterapia Nutrizionale, Hotel Parco dei Principi, 2007, Roma

I disturbi della funzionalità gastrica e duodenale costituiscono il banco di prova più severo ed impegnativo per il medico nutrizionista che utilizzi gli alimenti come strumento terapeutico di guarigione. Nei pazienti affetti da patologie di questo tratto dell’apparato digerente, una diagnosi etiologica precisa faciliterà la strategia nutrizionale e permetterà di operare le scelte più idonee. La digeribilità di un alimento dipenderà dal modo in cui verrà proposto, traducendosi immediatamente in miglioramento o peggioramento della sintomatologia. Saranno distinte per grandi linee le gastralgie acute, che richiedono un’attenzione bionutrizionale mirata alla protezione della parte gastrica, da quelle croniche, spesso dipendenti da ipofunzione epato-biliare. In linea con i principi della Bioterapia Nutrizionale, questa relazione avrà lo scopo di segnalare e discutere le soluzioni nutrizionali adeguate per i soggetti affetti da queste patologie. A partire dalla nostra esperienza cercheremo di rispondere ad un quesito assillante che tormenta tutti i gastropatici ed i loro medici: che cosa mangiare o evitare quando c’è il mal di stomaco? In realtà, non basta individuare le categorie alimentari che devono essere rigorosamente evitate in fase acuta di malattia, ma è necessario conoscere le notevoli differenze bionutrizionali che caratterizzano i singoli quadri patologici e l’adeguata associazione di cibi che non determini ulteriore irritazione delle mucose, permettendo l’azione dei fisiologici, spontanei e naturali processi riparativi. Su questo argomento esiste in letteratura una notevole confusione, ragion per cui, spesso, il medico è costretto a somministrare cronicamente dei gastro-protettori, degli antiacidi o degli inibitori delle cellule antrali produttrici di acido cloridrico, senza però risolvere mai alla radice il problema del suo paziente, costringendolo, perciò, ad una alimentazione, cosiddetta “in bianco” molto restrittiva e spesso poco gratificante.

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