Carne

Qualità della carne

Molti parametri che concorrono alla determinazione del concetto di qualità della carne sono soggettivi, per cui risultano valutabili unicamente attraverso i sensi. Determinanti sono anche i costumi alimentari, le convinzioni religiose, le tradizioni e le informazioni della pseudo-cultura scientifica. Per esempio, per quanto riguarda il maiale, la marezzatura della carne è una caratteristica molto importante, che viene apprezzata da un buongustaio, ma giudicata negativamente da una persona che, a torto, teme l’aumento dei livelli ematici di colesterolo. La qualità nutrizionale riguarda la composizione chimica e le proprietà dietetiche della carne, mentre le caratteristiche organolettiche sono quelle che la rendono appetibile. La qualità tecnologica invece, dipende da quell’insieme di caratteristiche che rendono la carne idonea alla conservazione, alla preparazione, al confezionamento, alla distribuzione, alla cottura, oppure alla trasformazione nei vari prodotti di salumeria. Può essere utile definire tutti i caratteri di qualità, che fanno della carne la componente nutrizionale a maggiore funzione plastica e ristrutturante per l’organismo umano: la tenerezza, la succulenza, l’aroma, il colore ed il grasso.
Tenerezza – E’ uno dei principali attributi di buona qualità, insieme al valore nutritivo. Non sono stati ancora chiariti totalmente i fattori specifici che determinano la tenerezza. Essa, infatti, dipende dalle dimensioni dell’animale macellato, dallo stato di tensione delle fibre nel muscolo e dalla relazione tra quantità di fibre e tessuto connettivo. A seconda delle variazioni di queste componenti, la tenerezza può variare tra le diverse parti del muscolo e tra i diversi muscoli della stessa carne. La tenerezza, inoltre, è una qualità che rappresenta la somma delle proprietà della struttura proteica del muscolo scheletrico, quindi è associata a tutti i fattori che fanno variare le proteine muscolari, quali ad esempio lo sviluppo dell’animale, la nutrizione, le operazioni ante e post mortem, il taglio e la cottura.
Il grasso, presente nella carne, dentro i muscoli, tra le fibre muscolari e tra le cellule, è anch’esso considerato un importante fattore di qualità. Circa il rapporto tra il grasso (marezzatura) e la tenerezza della carne esistono dei parametri conosciuti: a) il grasso aumenta il gusto, la tenerezza e l’aroma; b) non è il grasso totale del muscolo che influenza la tenerezza ma la sua distribuzione; c) se la marezzatura fosse associata ad un alto livello di alimentazione dell’animale, sarebbe proprio questa la causa dell’aumento della tenerezza, in quanto modificherebbe lo sviluppo delle fibre muscolari; d) la relazione tra marezzatura, tenerezza e succosità è sottile ma significativa, in quanto il grasso influenzerebbe il gusto e, tramite l’azione degli acidi grassi liberi, faciliterebbe la salivazione. Ogni differenza dovuta all’età può essere messa in relazione con le modificazioni istologiche che avvengono nella struttura e nella composizione del muscolo durante la “maturazione” dell’animale, soprattutto a carico del tessuto connettivo. I legami crociati inter- e intra-molecolari delle proteine stromali del muscolo degli animali giovani sono minori e più labili che negli animali adulti. Invece con il tempo, il numero e la stabilità dei legami aumentano, mentre la loro solubilità diminuisce. Ciò suggerisce che la minore tenerezza della carne degli animali vecchi sia dovuta più alla stabilità dei legami crociati che all’aumento del collagene. Infatti, la quantità relativa di collagene nel muscolo sembra decrescere o rimanere costante dopo il raggiungimento della maturità.
La tenerezza è valutata da chi consuma la carne con il semplice atto della masticazione. Si tratta di un criterio molto soggettivo, ma attualmente non si dispone di strumenti in grado di valutare in modo oggettivo questo parametro di qualità.
Succulenza – Al pari della tenerezza, la succulenza non può essere valutata in base ad un singolo fattore e, per stabilirne il grado, il metodo principale è l’esame organolettico. La sensazione di succulenza della carne cotta è in stretta relazione con la quantità di lipidi, per cui si giudica normalmente più succulenta la carne con una giusta quantità di grasso proveniente da un animale adulto e ben riposato. I principali fattori che influenzano la succulenza sono anche il tipo e il grado di cottura.
Aroma – I numerosi fattori che possono modificare l’aroma della carne, sono legati alle caratteristiche dell’animale stesso ed ai trattamenti che la carne ha subito fino alla cottura. I fattori legati all’animale sono l’età, il sesso, l’alimentazione e la microflora intestinale. L’aroma della carne è caratteristico della specie, e diversi ricercatori hanno dimostrato che la specificità deriva dal grasso e dal tessuto muscolare. Il regime alimentare degli animali è un fattore importante nella formazione dell’aroma, e può essere responsabile della composizione dei lipidi e della formazione di composti volatili aromatici. Nel maiale, per esempio, un’alimentazione ricca di acidi grassi insaturi provoca l’aumento della ossidabilità dei lipidi, il loro irrancidimento e la diminuzione del sapore della carne.
Sapore – La degradazione di alcuni componenti cellulari della carne, la scissione del glicogeno residuo a glucosio, la divisione del grasso nei suoi costituenti (glicerolo ed acidi grassi) e l’ossidazione dei grassi insaturi, sono da annoverarsi tra i fattori che determinano il sapore della carne. Esiste uno stato ottimale dello sviluppo del sapore, che tende a perdersi o alterarsi se si prolunga la conservazione.
Colore – Esso è dovuto alla mioglobina del muscolo, pigmento determinato geneticamente, ma poi influenzato dall’età, dallo stato e dal tipo di nutrizione dell’animale, nonché dall’attività muscolare. Il colore che si accetta normalmente, rosso ciliegia a tonalità variabile, si sviluppa dopo l’esposizione della carne all’ossigeno per un periodo sufficiente a provocare in superficie la formazione di ossimioglobina. Idealmente, i tagli di carne destinati alla vendita dovrebbero avere queste caratteristiche: da cruda, la muscolatura deve essere soda, di un bel colore rosso brillante, con una quantità minima di tessuto connettivo; il grasso di copertura deve apparire sodo, uniforme nella struttura e nel colore ed esente da cattivo odore; il grasso intramuscolare deve essere evidente. Dopo la cottura, la carne deve essere tenera, avere un buon aroma e, dal punto di vista chimico-fisico, dovrebbe presentare un pH non inferiore a 5.6-5.7.
Grasso – La carne muscolare, anche molto magra, contiene sempre una certa quota lipidica, che è un costituente fondamentale. Gli animali che vivono in libertà, come la selvaggina, hanno una minore quantità di grasso intercellulare, mentre gli animali cresciuti in cattività hanno una carne più marezzata. Un muscolo dall’aspetto magro può avere fino al 9% di grasso, anche se l’entità del lavoro che esso compie nell’animale vivo ha influenza decisiva. Di norma, un muscolo scarsamente attivo è più idoneo di un muscolo di movimento, alla deposizione intercellulare di grasso. Per questo motivo, nel muscolo dorsale e nel muscolo del prosciutto si trova la tanto apprezzata marezzatura.

Caratteristiche nutrizionali

Il potere nutrizionale della carne varia non solo a seconda del tipo di animale dal quale proviene, ma anche da altri fattori legati alla parte anatomica che viene consumata. Le unità muscolari sono biochimicamente e fisiologicamente differenziate dal tipo di movimento, e dal lavoro che svolgono durante la vita dell’animale. Tali caratteristiche sono, a loro volta, influenzate da fattori intrinseci, come la specie, la razza, il sesso, l’età, e da fattori esterni, per esempio il tipo di alimentazione, la stanchezza ed i trattamenti che la carne subisce dopo la macellazione. La componente più importante della carne muscolare è rappresentata dalle proteine. Queste non hanno una composizione unitaria, ma sono costituite da un complesso di differenti sostanze proteiche con caratteri spesso molto diversi, pur essendo tutte formate da catene peptidiche. In ogni caso la carne possiede un elevato valore biologico, in quanto contiene tutti gli aminoacidi essenziali e sono presenti varie sostanze azotate che fanno parte delle proteine. Fra queste vanno annoverati diversi tipi di peptidi, aminoacidi, amine, nucleosidi, nucleotidi, derivati purinici, creatina, creatinina, urea e ammoniaca. I muscoli possono essere classificati come “rossi” o “bianchi”, in funzione della quantità di mioglobina in essi contenuta. Questo pigmento rosso, che immagazzina l’ossigeno, è contenuto in alta concentrazione nei muscoli che svolgono movimenti relativamente lenti, continui o ripetitivi. Al contrario, i muscoli bianchi sono adatti per scatti veloci e intermittenti, durante i quali ottengono molta energia convertendo il glicogeno in acido lattico, quindi secondo un meccanismo anaerobico. Le proteine del tessuto connettivo invece, hanno un contenuto in aminoacidi essenziali minore delle proteine contrattili. Inoltre, un muscolo con molto tessuto connettivo fornisce una carne relativamente resistente alla digestione e all’assorbimento, il che può essere ulteriormente peggiorato da una cottura sbagliata.
Per questa ragione, in Bioterapia Nutrizionale viene posta molta attenzione nella scelta del taglio di carne da utilizzare, in virtù della localizzazione anatomica del muscolo che viene impiegato come alimento e delle necessità del paziente in trattamento. Per esempio, la carne bovina ha un maggiore contenuto di aminoacidi essenziali (leucina, lisina, valina), rispetto alla carne suina e di agnello. Tuttavia, bisogna sempre ricordare che esistono non solo differenze tra i singoli muscoli, ma anche che la razza e l’età dell’animale influiscono in modo determinante sul potere nutrizionale. Infatti, all’aumentare dell’età, aumenta relativamente il contenuto di arginina, metionina, isoleucina, fenilalanina e valina, mentre la concentrazione degli altri aminoacidi rimane costante o si riduce.

Carne bovina

La carne bovina si divide in due grandi categorie: rossa e bianca. Per carne rossa si intende quella di animali adulti, vitellone, manzo, vacca e toro. Per carne bianca invece, si intende quella di vitello, la cui alimentazione è basata esclusivamente dal latte. Il vitellone ha la carne più nutriente e fortificante, che si riconosce dal colore rosso vivo e dalla struttura consistente, soda ed elastica, con piccole filettature di grasso che solcano la massa muscolare e lo spessore esterno, di colore bianco o giallo chiaro. Queste qualità variano a seconda della razza dell’animale e dal regime alimentare durante il periodo dell’ingrassamento.
Appena macellate, le carni rosse risultano dure alla cottura e sensibilmente acide. Per aumentarne la tenerezza è necessario un periodo di riposo, che generalmente si aggira sui 10-14 giorni. Tale periodo, detto “frollatura”, rende la carne adatta al consumo nella massima espressione e pienezza delle sue qualità nutrizionali. Il grado di frollatura ha una importanza decisiva per la destinazione culinaria delle proteine della carne. Questo processo non ha nulla a che vedere con il fenomeno della putrefazione. Infatti, la frollatura consente e garantisce una maturazione biochimica interna alla carne, che può avvenire anche in ambiente sterile, mentre la putrefazione sarebbe un fenomeno di degenerazione dell’alimento provocato da agenti batterici. Il contenuto in colesterolo della carne bovina è mediamente simile a quello del pesce, del formaggio e delle carni di altre specie. Esso varia con percentuali differenti nei diversi tessuti, con valori più bassi nel muscolo sgrassato, valori medi nel grasso intramuscolare e medio-elevati nel grasso sottocutaneo e intercostale. Il contenuto in minerali dipende dal taglio considerato: il ferro è più presente nel filetto e nella fesa; lo zinco nella fesa; il rame nella noce; il sodio e il potassio non mostrano differenze significative tra i vari gruppi muscolari.
Un pregio importante della carne, in particolare quella di vitellone, di manzo e di bue, è il suo contenuto in ferro, in forma perfettamente assorbibile dall’organismo. Questo minerale è presente anche nei vegetali, ma quello contenuto nella carne è di più facile assimilazione, perché inserito nell’eme che viene utilizzato direttamente senza ulteriori elaborazioni nella formazione dell’emoglobina. Inoltre, il ferro della carne aiuta l’assorbimento intestinale dello stesso minerale contenuto in altri alimenti.

Carne suina

La carne di suino è caratterizzata da una elevata concentrazione di minerali (soprattutto ferro e selenio), di vitamine idrosolubili, come le B1, B2, B6 e B12, e di composti come la carnitina. Inoltre, essa è ricca di nucleotidi, elementi che svolgono un ruolo essenziale nell’attività immunitaria. Nel muscolo del maiale sono contenuti molti acidi grassi insaturi e soprattutto grassi strutturali, cioè fosfolipidi e lecitine insature ad elevata attività colesterolica. Attualmente, l’alimentazione dei suini avviene con mais integrale, soia integrale e rispettivi oli, nonché, con dei derivati della lavorazione delle olive. Questo perché gli alimenti integrali sembrano avere una efficace azione ipocolesterolemizzante. La carne di suino è stata considerata per molto tempo la carne grassa per eccellenza, con una ripartizione molto differenziata a seconda delle varie zone anatomiche. Alcune di esse si caratterizzano per la predominanza della quota proteica, altre per quella lipidica. Il grasso di suino ha rappresentato per secoli una delle riserve energetiche più importanti, sotto forma di lardo o di strutto. Quando i grassi di origine animale furono in qualche modo collegati all’incidenza di coronaropatie, si pensò di stimolare il consumo di lipidi ricchi in acidi grassi polinsaturi, come quelli vegetali, sconsigliando gli acidi grassi saturi. In conseguenza di ciò, nacque l’abitudine di misurare i grassi alimentari in base al loro rapporto tra acidi grassi polinsaturi e saturi (rapporto p/s). I grassi vegetali cominciarono ad essere considerati come “benefattori dell’umanità”, proprio perché ricchi di costituenti polinsaturi. Di conseguenza, si verificò un crollo del consumo di lardo e di strutto, mentre la genetica e l’alimentazione nella zootecnia divennero gli unici strumenti per ottenere animali sempre più magri.
Tuttavia, da quando ci si è resi conto che il rapporto tra assunzione alimentare di acidi grassi saturi e rischio ischemico non era così netto, che l’aumento dei livelli di colesterolo nel sangue non dipendeva unicamente dalla quantità di colesterolo assunto con la dieta, e che esistevano importanti fattori predisponenti individuali, l’impiego in campo alimentare dei grassi animali ha recuperato credibilità. Molto diversa è la valutazione nei confronti dei salumi. Salami, mortadelle e lo stesso prosciutto crudo, non sarebbero tali se non ci fosse una buona quota di grasso. Per esempio, il prosciutto crudo viene considerato apprezzabile purché il grasso non sia presente tra i corpi muscolari, ma sia limitato alla zona periferica sottocutanea e, quindi, risulti facilmente eliminabile. Per quanto riguarda la composizione degli aminoacidi nei prodotti insaccati, è presente una elevata quota proteica: il 45% di aminoacidi sono essenziali e la quota di idrossiprolina e glicina è piuttosto alta. Il quantitativo in colesterolo oscilla in un intervallo che va da 62 a 99 mg per 100 g di prodotto. Quanto alla quota di minerali, il contenuto in ferro e zinco è piuttosto elevato (1,5 e 3,7 mg per 100 g, rispettivamente), così come quello in cloruro di sodio degli insaccati crudi, che limita l’impiego di questi alimenti nei soggetti ipertesi.

Carne ovina

Gli ovini più importanti a livello alimentare sono la capra, la pecora, l’agnello e l’abbacchio. L’abbacchio è l’agnello che ha raggiunto il peso di 6-11 kg e che viene consumato a 20-30 giorni dalla nascita, quindi non si è mai nutrito di erba. Le carni sono chiare e delicate, molto tenere, diverse sia da quelle di agnello che di montone. Dal punto di vista nutrizionale, confrontata alla carne di manzo semi grassa, quella dell’abbacchio non ha particolari differenze nel rapporto proteico, mentre si avvicina alla carne del vitello magro per quanto riguarda il rapporto nutrizionale. Pressoché identico è anche il contenuto in vitamine e minerali. L’agnello, generalmente, è l’animale che ha raggiunto l’anno di vita. Simile al montone, la sua carne è molto più tenera e quindi richiede tempi di cottura minori. La buona qualità dell’agnello si riconosce dalla larghezza dei lombi e da un grasso candido, che deve essere consistente e abbondante soprattutto intorno ai reni. L’agnello adulto si distingue dall’abbacchio soprattutto per il maggiore contenuto in lipidi. Il capretto, simile all’abbacchio, viene anch’esso macellato all’età di 15-20 giorni. La sua carne, considerata particolarmente prelibata, è una delle poche utilizzabili nell’alimentazione dei pazienti allergici ed oncologici per una serie di proprietà legate al tipo di alimentazione di questa specie animale.

Carne equina

La vendita di questa varietà di carne è consentita soltanto in macellerie equine, che non possono detenerne di altri tipi. La carne equina è molto utilizzata in alcune regioni italiane, mentre in altre risulta praticamente sconosciuta. Confrontata con la carne di bovino, quella di cavallo si differenzia per la maggiore quota relativa di grasso sottocutaneo e cavitario, mentre quello intermuscolare è sensibilmente inferiore. Per quanto riguarda la componente lipidica, attualmente la carne di cavallo, particolarmente quella di puledro, si presenta ricca di proteine e povera di lipidi, fra i quali predominano gli acidi palmitico, oleico e linoleico, ma anche l’acido linolenico è ben rappresentato. Si tratta, quindi, di una carne piuttosto ricca in acidi grassi insaturi, aspetto di notevole importanza nutrizionale, mentre il suo tenore in colesterolo è sovrapponibile a quello della carne bovina ed inferiore a quello riscontrato in tutte le altre carni, in particolare in quella di pollo. Per quanto riguarda l’utilizzo bionutrizionale, riservato prevalentemente al trattamento delle anemie sideropeniche in soggetti defedati, la carne di cavallo viene consumata soprattutto cruda o ai ferri.

Volatili

Pollo – L’industria ha investito molti fondi e condotto numerose ricerche nel settore dell’allevamento di questo animale a scopo alimentare, in quanto esso ha un ciclo riproduttivo breve. Grazie alla genetica e a tecniche di allevamento sempre più sofisticate, sono stati selezionati polli con caratteristiche nutrizionali molto differenziate. Uno dei principi che si è seguito maggiormente, sia per il pollo che per il suino, è stato quello di variare l’alimentazione dell’animale, influendo sulle qualità organolettiche e sulla composizione della carne, fatta eccezione per il grasso.
Notevole è il tenore in acidi grassi utili e protettivi, quali lo stearico ed oleico ed elevato è anche il contenuto in acido linoleico, a cui si associa una presenza significativa di acido arachidonico. Le proteine hanno un elevato valore biologico, sono molto ricche in lisina ed il rapporto fra aminoacidi totali ed essenziali è del 46%, quindi molto favorevole. Le proteine sono più abbondanti nelle carni bianche del petto, mentre grasso e colesterolo si trovano soprattutto nelle carni rosse delle cosce. Le carni di pollo sono ricche di ferro, vitamine idrosolubili, fosforo e niacina.
Gallina – E’ la femmina adulta del pollo e viene utilizzata in cucina dopo un periodo di deposizione delle uova. Gli allevamenti industriali hanno ridotto molto gli impieghi della gallina. Infatti, negli allevamenti moderni non conviene prolungare i tempi di crescita, sottraendo spazio ai nuovi nati. Il brodo di gallina comunque, conserva delle proprietà che non sono sostituibili dal brodo di pollo. La gallina ha un contenuto in grasso molto elevato ed un valore energetico notevole. Le sue carni hanno un notevole potere nutritivo, soprattutto per la presenza di proteine ad alto valore biologico.
Gallo – Il gallo adulto viene utilizzato dopo un’attività riproduttiva più o meno lunga. Le sue carni, quindi, sono a fibra grossolana e compatta, resistenti alla cottura e difficilmente digeribili. La sua carne è più saporita di quella dei polli giovani ma, per le sue fibre più compatte, deve cuocere molto più a lungo. Caratteristico è l’utilizzo della cresta, ricca di ialuronidasi, soprattutto nei disturbi oculari riguardanti le patologie degenerative della cornea.
Oca – E’ un palmipede con carni grasse che un tempo, dai contadini di molte regioni italiane, specie nella Pianura Padana, veniva considerata una valida alternativa al maiale. Infatti, con le carni e parte del grasso di oca si preparavano anche dei salumi, mentre il grasso eccedente veniva fuso e conservato in barattoli di terracotta. Oggi il suo consumo è in diminuzione, ma la sua carne, pur essendo molto ricca in grassi, contiene minime quantità di colesterolo.
Tacchino – La carne di tacchino è di facile digeribilità e costituisce una buona fonte di minerali, quali calcio, fosforo e, soprattutto, ferro. Per la minore possibilità di essere sottoposto ad allevamento intensivo con integratori ed anabolizzanti, il tacchino fornisce una carne caratterizzata da una minore allergenicità rispetto a quella del pollo. Per questa ragione è possibile utilizzarla in Bioterapia Nutrizionale nell’alimentazione dei soggetti allergici. Nel paragrafo dedicato alle preparazioni a base di carne, saranno descritte le varie modalità di utilizzo, in particolare a proposito del suo contenuto in tiamina, che favorisce i processi biochimici cerebrali, necessari per migliorare la capacità mnemonica.

Coniglio

Il coniglio discende da alcune specie selvatiche che si distinguono dalla lepre per la taglia più piccola e la struttura più agile. Dal punto di vista commerciale è considerato altamente remunerativo perché cresce velocemente, si riproduce più volte l’anno ed aumenta il suo peso in tempi rapidi, specie nei primi periodi di vita. Inoltre, dato che il coniglio utilizza gli sprechi dell’economia agricolo-contadina, probabilmente il suo allevamento aumenterà di interesse non solo per l’economia dei singoli Paesi, ma anche per il soddisfacimento delle necessità proteiche dell’uomo. Questa carne è ricca di protidi e povera in grassi, quindi può essere considerata una delle carni dal valore alimentare più elevato. Il suo contenuto in aminoacidi è del tutto simile a quello delle carni bovine, suine, di agnello e di pollo, che pertanto hanno pari valore nutrizionale. Anche il contenuto di acidi grassi insaturi è su livelli analoghi a quelli delle altre carni e lo stesso può dirsi per il magnesio, il potassio, il sodio e lo zolfo. La carne di coniglio, forse proprio perché molto simile a certi tipi di selvaggina, è stata a lungo considerata inadatta ai pazienti affetti da gotta, ritenendola molto ricca in purine. Queste ultime invece, sono presenti in quantitativi analoghi a quelli riscontrabili in altri tipi di carni.

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